LA DISTRIBUZIONE IN BLOCCHI o “FASI” DI SERIE.

A livello puramente didattico, secondo la classica suddivisione scolastica resa nota da Zaciorskij, possiamo distinguere tre grandi macrocategorie teoriche inerenti alla metodologia di allenamento delle qualità di forza, ovvero:

–         il metodo degli sforzi massimali o maximal effort

–         il metodo degli sforzi dinamici o dynamic effort

–         il metodo degli sforzi ripetuti o repetition effort.

La ripartizione di cui sopra è ovviamente ben lungi dall’esaurire le possibili applicazioni nella pianificazione dell’attività agonistica e neppure i diversi metodi sono da intendersi come alternativi o nettamente separati tra loro.

Avremo forse modo di vedere in seguito come esistano molteplici interazioni e vari sistemi combinati e integrati l’uno con l’altro.

Tuttavia, quel che ci preme ora è soffermarci su di una ben determinata fattispecie nella programmazione del ciclo di allenamento: il repetition effort o metodo degli sforzi ripetuti realizzato mediante gruppi o “fasi” di serie.

Partiamo dalla premessa che il metodo degli sforzi ripetuti (o, più semplicemente, delle ripetizioni) è un contenitore talmente vasto da rappresentare una tra le metodiche di allenamento più sfruttate per le molteplici espressioni delle qualità di forza e non soltanto per l’accezione di forza pura. Al suo interno, quindi, si registra un’ampia gamma di possibili varianti applicative.

In realtà, con questa denominazione possono essere genericamente annoverati tutti quei sistemi che si fondano appunto sul metodo delle ripetizioni, tra cui ne ricordiamo alcuni molto pubblicizzati e riferiti ai gruppi di serie a numero costante di ripetizioni, quali il “5×5” di Bill Starr e – sia pur con qualche distinguo – il “Sollevatore paziente” diffuso da Poliquin.

Se però, nei casi citati, la caratteristica comune è l’invariabilità del numero delle ripetizioni nella successione delle serie – all’interno della singola unità di allenamento – invece, in questa seconda modalità del repetition effort, ossia con i sistemi delle serie distribuite, il numero delle ripetizioni da eseguire nel corso della medesima seduta di allenamento varia o può variare da gruppo di serie ad altro gruppo di serie, a seconda della finalità che ciascuna “fase” (nome che in questo frangente sta ad indicare proprio ciascun blocco di serie) si prefigge di raggiungere.

Ecco spiegato il perché sono pure denominati “sistemi a fasi”.

Omar Ahmed (21 anni all'epoca) durante la Coppa Italia 2007, in cui vinse la classifica juniores e che preparò con programmi a "fasi di serie" per le specialità di squat e bench press

La “fase” propriamente detta è dunque costituita da un macroset, cioè da un raggruppamento di serie tutte incentrate sullo stesso numero prefissato di ripetizioni; le fasi possono invece essere di numero imprecisato (generalmente da 2 a 4) e a loro volta comprendere un numero illimitato di serie; mentre il numero delle  ripetizioni cambia solo da fase a fase.

Facciamo degli esempi pratici, tra i più comuni:

–         2 fasi: 3×3 e 3×5 oppure  3×3 e 3×2 (tot. 6 serie);

–         2 fasi: 5×1 e 3×5 (tot. 8 serie);

–         3 fasi: 2×2, 2×4, 2×6 (tot. 6 serie);

–         3 fasi: 2×4, 3×1, 2/3×5 oppure 2/3×1, 3×5, 2×7/8 (tot. 7/8 serie).

Affinché l’allenamento possa giungere a buon fine è fondamentale non arrivare mai all’esaurimento muscolare in ogni fase; di conseguenza conviene non adoperare (salvo, forse, all’ultimo allenamento del mesociclo) il carico limite per quel dato numero di ripetizioni ma, più proficuamente, quello immediatamente inferiore: ad esempio, per una fase costituita da serie di 2 ripetizioni il 3RM, per una da 3 rip. il 4RM e così via.

Chiaramente è anche importante, per ciascuna fase, non esagerare nelle progressioni dei carichi tra un allenamento e il successivo, per cui sarà opportuno procedere con incrementi ridotti e non necessariamente in tutte quelle che sono le fasi previste dalla seduta.

Trattandosi – come già sottolineato – di una delle possibili applicazioni del “metodo degli sforzi ripetuti” ad una determinata intensità, si dovrebbe provvedere ad aumentare il carico solo se, nella precedente sessione, tutte le ripetizioni di tutte le serie di quella data fase sono state portate a termine positivamente e con apprezzabile esecuzione tecnica; viceversa, il sistema sfocerebbe in un’applicazione di serie forzate o nel metodo degli sforzi massimali, perdendo la naturale connotazione di lavoro ripetuto ad intensità replicabile.

Per analogo principio, pure un’eventuale fase di lavoro che verta su singole alzate (2-5×1), non dovrebbe sconfinare in percentuali di carico ad intensità massimale o molto prossime ad essa.

Le pause di recupero dipendono prevalentemente dal numero di fasi e da quello delle serie in esse comprese che si intendono eseguire; di conseguenza, dalla  durata complessiva dell’allenamento oltre che dalla sua intensità.

Diciamo, con una certa approssimazione, che ci si può orientare su 2 diversi tipi di recupero: uno più breve, che non dovrebbe in alcun caso oltrepassare i 3’ tra le serie di ogni singola fase; l’altro con range più ampio, tra fase e fase, che può variare da un minimo di 2’ per gli allenamenti di condizionamento e capillarizzazione fino a 5’ per sessioni protratte per un lungo numero di fasi e serie, soprattutto in sedute e microcicli mono specialistici (es. 3 o 4 fasi da 3/4 serie ciascuna, che vertano tutte su un unico esercizio della disciplina di gara).

Sara Del Duca, master II, impegnata con 105kg. nella prova di distensione su panca. Spesso, nell'avvicinamento alle gare, ha utilizzato lo schema a fasi tradizionale, con blocchi di serie a diverso range di reps

Il sistema che è stato definito, per convenzione,  a “fasi” era molto in voga nella ex Germania Est, in particolare tra i lanciatori (peso, disco, martello) ma era altresì diffuso tra i sollevatori olimpici di notevole valore, prevalentemente negli anni ’70.

Tuttavia, non vi è mai stata da parte di nessun tecnico o preparatore una linea di demarcazione netta o standardizzata per l’effettiva messa in opera della periodizzazione distributiva delle serie.

Essenzialmente la sua attuazione era prevista nell’ambito di programmi basati sul volume ma talvolta era ed è tuttora usata negli schemi di sintesi,  soprattutto in quelle sessioni che intendano concretizzarsi come appoggio ad altre specificamente allenanti e persino nelle sedute di lavoro ad intensità variabile e di apprendimento tecnico.

Personalmente l’ho attuato e fatto attuare sovente, in ambito di powerlifting, nella preparazione per le specialità di bench press e di squat, mentre con minor frequenza per lo stacco da terra e, in tale caso, ho adottato opportune varianti consistenti in un allenamento a due o tre fasi – precedute da un’altra prodromica di attivazione – incentrate, rispettivamente, la prima sulla tecnica esecutiva di gara e sul lavoro equipped, la seconda sulle esercitazioni speciali oppure sul potenziamento muscolare rivolto ai distretti da rafforzare eseguendo la tecnica non adottata dall’atleta durante la competizione; la terza, infine, sul lavoro di volume unequipped.

In sede di pianificazione generale di un sistema a gruppi di serie e senza addentrarsi in questa sede sulle discipline specificamente interessate, le progressioni dei carichi nel succedersi dei microcicli possono seguire diversi coerenti orientamenti.

a)   uno sviluppo percentuale sulla base di waves trisettimanali; utilizzando questo schema i carichi all’interno di ogni fase si sviluppano su terne di microcicli,  ad esempio:

1°) 3x3x75% – 3x5x65%;

2°) 3x3x80% – 3x5x70%;

3°) 3x3x85% – 3x5x75%;

4°) 3x3x78% – 3x5x68%;

5°) 3x3x83% – 3x5x73%;

6°) 3x3x88% – 3x5x78%.

b) uno sviluppo percentuale alternando “fasi” diverse nel corso dei microcicli; segue l’esempio, sempre su 6 settimane come per il precedente (da notare la differenza nell’impostazione delle fasi tra i microcicli dispari e quelli pari):

1°) 3x3x75% – 3x5x65%;

2°) 2x2x80% – 2x4x70% – 2x6x60%;

3°) 3x3x80% – 3x5x70%;

4°) 2x2x85% – 2x4x75% – 2x6x65%;

5°) 3x3x85% – 3x5x75%;

6°) 2x2x90% – 2x4x80% – 2x6x70%.

c) uno sviluppo percentuale dei carichi nelle fasi, che non si verifichi in  contemporanea durante il succedersi dei microcicli; da cui altro esempio su 8 microcicli settimanali:

1°/2°/3°/4°micro)

2x4x70%, stabili per la durata di 4 microcicli –

2x2x85%, idem come sopra –

3x5x65% nel 1° micro, 70% nel 2°, 75% nel 3°, 80% nel 4°;

5°/6°/7°/8°micro)

2x4x75%, stabili per l’intera durata dei 4 microcicli  –

3x3x75% nel 5° micro, 80% nel 6°, 85% nel 7°, 90% nell’8°-                     2x5x75%, stabili per l’intera durata dei 4 microcicli.

Roberta Monaco dopo la vittoria nella Western European Cup 2011. Per l'occasione, durante i mesocicli preparatori, scegliemmo le "fasi" anche per l'allenamento del deadlift

Ovviamente si ribadisce che trattasi per l’appunto di esemplificazioni, che devono essere dunque considerate quali validi protocolli di base e non regole da seguire alla lettera, semmai adattandole caso per caso.

Tra le messe in opera più avvincenti del sistema in parola potremmo menzionare anche il celebre “Hepburn system”, ciclo di workouts ad alta intensità di uno dei più grandi “panchisti” di ogni tempo, il mitico Doug Hepburn.

Il suo programma standard e più famoso prevedeva due fasi di 5 serie l’una, precisamente: 5×1 e 5×5 nella stessa sessione.

Gli elaborati consistono in una proibitiva sintesi di allenamento di intensità e volume nella singola unità ma – proprio per la sua particolarità – ritengo più pertinente relazionarne in seguito, separatamente oppure in un eventuale articolo “ad hoc”, dedicato al maximal effort.

Per ciò che concerne la durata complessiva di un sistema a fasi possiamo dire che, quando lo stesso viene impiegato in una sessione settimanale di volume, in coppia con altro programma basato sull’intensità o la specializzazione tecnica,  può essere tranquillamente pianificato per più mesocicli e per un numero di microcicli varianti tra 4 e 12, a seconda della contestuale scelta dello schema allenante a cui si intende affiancare; allorché sia, invece, esso stesso programma dominante, conviene – a parer mio – non eccedere le 6 settimane consecutive, pena lo stallo dei carichi.

Ulteriori differenze si registrano nell’eventualità in cui il sistema a fasi venga a costituire parte integrante di grandi programmi lineari estesi fino a 20/25 serie a seduta: in quel contesto, presumibilmente off season, può essere (anzi dovrebbe) essere portato avanti anche per 15-20 settimane.

In ogni caso, tale fattispecie esula dalla trattazione propriamente detta delle “fasi” e invade il terreno di grandi progettazioni annuali, per le quali sarebbe comunque più consona una discussione a parte.

il grande Doug Hepburn effettua una classica "distensione lenta" in piedi.