A cura di Gabriele Stefanelli.
Sdraiato su panca orizzontale, mani attorno alla zigrinatura di un bilanciere. La barra scende fino al petto e risale. Niente di più semplice in apparenza, niente di più praticato in palestra. Niente di più complesso in realtà.
Chiunque mi stia leggendo avrà fatto quello di cui ho appena parlato decine, centinaia, migliaia di volte.
E altrettante volte ne avrà letto e discusso. Per questo, visto anche il contesto in cui mi trovo con onore a scrivere, una premessa è d’obbligo: oggi non parlerò della panca per il bodybuilder o per il crossfitter, della panca con fini estetici, dell’ipertrofia del fascio X piuttosto che della porzione y, né del fatto che possano esistere alternative alla cara vecchia panca piana per farvi crescere pettorali, autostima e/o entrambi.
Quello che mi interessa fare oggi è fornire una serie di tips e tricks, che vi saranno poi utili per migliorare la gestione del vostro torace nell’alzata stessa. E di conseguenza, in un ottica puramente da lifter, permettervi di sollevare più carico, in gara o in palestra.
Si sente spesso dire che il limite o addirittura la “centralina” maggiormente modulabile del principiante sia la capacità di alzare il petto e di aprirsi letteralmente sotto al bilanciere. Sia in fase eccentrica che, cosa forse ancora più importante, in fase concentrica. Assolutamente giusto, basti pensare che il pettorale, nella sua funzione di adduttore e flessore omerale, riesce a lavorare bene solo fino a quando l’omero rimane ben sotto di lui.
Partendo da questo assunto, risulta subito evidente che più il torace sarà alto, più aumenterà la zona di lavoro del petto, specie dei fasci addominali, quelli più forti. Questo aumenterà ovviamente anche lo stretch reflex del muscolo stesso, cosa di estrema utilità anche quando si lavora con il fermo. Come nel PL.
In parole povere, più sarà alto il punto in cui il bilanciere andrà a toccare il vostro sterno, più cavalli il vostro motore sarà in grado di utilizzare per muovere la barra con la massima forza e velocità ad inizio concentrica. Se poi aggiungiamo anche un ROM ridotto, risulta palese il perché settarsi “chest up“, al massimo delle nostre possibilità, sia uno degli elementi da tenere maggiormente in considerazione nella costruzione graduale del gesto stesso. Da parte di un coach o di un atleta.
Il difficile però è arrivare a questo punto seguendo la giusta strada. Molti altleti, perlopiù inesperti, scambiano l’idea di assetto a petto in su (sarebbe meglio dire aperto) con le contorsioni di Linda Blair ne “L’Esorcista”, cercando di esacerbare in maniera estrema la lordosi lombare, sistemando i piedi a volte anche dietro la linea iliaca dei fianchi.
Ciò viene fatto con la speranza di mettere il petto in spinta, sfruttare la spinta dei piedi (più conosciuta come “leg drive”) e magari guadagnare chili facili.
Ora, a prescindere da considerazioni di tipo salutistico, dato che non ho mai visto nessuno farsi male “archeggiando” in panca, il problema di questo approccio è questo: stressando moltissimo la zona lombare, la parte toracica finirà per forza in secondo piano a livello di controllo motorio. Il malcapitato si ritroverà con la pancia alta ed il petto bassissimo rispetto alle anche. Per cui, ricordate: se vi siete ritrovati nella siffatta descrizione, nel lungo periodo non andrete da nessuna parte.
Piuttosto svilupperete compensi su compensi, specie a livello cervicale e lombare.
Da dove partire allora se vogliamo assicurare continuità ai nostri progressi?
Semplicemente dal “mantra” delle scapole addotte e depresse. Dico “mantra”, perchè oramai anche il più scalcinato e seminalfabetizzato trainer di periferia lo propone ai sui clienti come la panacea di tutti i mali terreni e non.
Ma essendo stato ammantato di una dimensione quasi mistica, pochi vanno oltre e realizzano quanto in questo assioma sia contenuto un mezzo e non un fine: scapole adotte e depresse “PER” e non “tanto per” dovrebbe essere il motto!
Scapole addotte e depresse per proteggere muscoli e tendini della cuffia dei rotatori dal restare schiacciati tra testa dell’omero e acromion.
Scapole addotte e depresse per sviluppare un corretto set-up toracico nella panca piana, aggiungerei io.
Sta qui infatti la chiave di volta di tutto. Se vogliamo arrivare ad aprirci correttamente sotto al bilanciere, prima di pensare ai piedi, agli “archi” e a quant’altro, dobbiamo affrontare questo punto.
Imparare ad addurre e deprimere le scapole sotto un bilanciere carico, con un corretto timing è il dato fondamentale da tenere in considerazone.
Questo perchè non bastano solo pettorali e tricipiti forti per rimanere alti con il torace, ma si necessita dell’intervento anche dei muscoli della schiena. In primo luogo il gran dorsale, ma anche i fasci bassi del trapezio.
Questi muscoli, specie il dorsale, grazie al loro ruolo di estensori del rachide, sono in grado di limitare la cifosi dorsale, facendovi restare letteralmente sull’attenti anche con 140 chili che vi premono sul petto.
In aggiunta a tutto ciò, un gran dorsale attivo e non passivo, farà rimanere la scapola bassa, permettendo alla spalla di finire maggiormente sotto al bilanciere. Tutto a evidente vantaggio di un vettore di spinta più efficente.
Questa è la ragione per cui le prime volte che un principiante si approccia alla panca, controllo immediatamente proprio l’attivazione del dorsale, sia in salita che in discesa.
Tutto molto bello ed in apparenza molto facile allora. Se servono dorsali forti ed attivi, diamoci sotto con trazioni, rematori in tutte le salse e diventeremo fortissimi panchisti!
Niente di più falso: il punto chiave della questione è riuscire ad avere una co-contrazione passiva, ovvero non volontaria, della muscolatura dorsale. E per arrivare a questo non ci saranno lat machine ad aiutarvi, a meno di evidenti deficit strutturali.
Nell’esecuzione della panca piana dovrete arrivare ad un punto in cui sentirete il supporto del gran dorsale, quasi fosse una base d’appoggio, per non dire una guida, per i vostri gomiti. Ma questo in maniera assolutamente naturale e non forzata.
Compatti ma rilassati, diceva giustamente qualcuno. Attivare il dorsale deve divenire naturale come respirare.
Ricordo di aver parlato di timing per settarsi nell’alzata, e su questo voglio che non ci siano dubbi.
La panca piana ha una serie di fasi, specialmente per il principiante, che a meno di eccezioni rarissime, vanno rispettate, e che ogni coach di livello conosce bene.
PANCA PIANA, LA PRATICA
FASE 1 – Posizionamento
Sdraiati su panca, talloni leggermente dietro le ginocchia, ma senza esercitare nessuna trazione sui flessori delle anche, psoas in primis. Si afferra il bilanciere, e inizialmente dato che avremo sicuramente una mobilità toracica tutta da costruire, meglio scegliere un’impugnatura più stretta rispeto ai canonici 81 cm, sfruttando così un maggiore allungamento del pettorale in discesa. Barra appoggiata sul carpo e non sulle dita.
FASE 2 – Unracking
Facendo una sorta di pullover, si stacca la barra dai fermi. Gomiti assolutamente estesi e bloccati, polsi il più possibile neutri. Evitate di stringere eccessivamente il bilanciere, come se doveste spremerlo o altro.
Il principio dell’irradiazione di cui parlava Pavel nei suoi libri è corretto, ma solo su avanzati. Se non avete già un buon assetto e cercate di fare la marmellata con le godronature del bilanciere, vi metterete in uno stato di tensione globale. Il corpo cercherà di proteggere la zona del collo e dei trapezi, rendendo probabilmente più difficile tutto il lavoro a seguire.
A questo punto state attenti anche a dove tenere il bilanciere rispetto al torace. Più state aperti con il torace, più potrete portarlo verso la gola. Viceversa, più siete “flat”, più sarete costretti a portare il bilanciere verso la pancia, così da sfruttare al massimo l’effetto tensivo del pettorale in discesa.
Stabilito questo, una volta controllati polsi e gomiti, diventa fondamentale percepire le scapole che si adducono a contatto dello schienale, grazie alla gravità esercitata dal carico.
Se necessario, su soggetti un po’ più muscolari e rigidi, potrà essere utile far flettere maggiormente il polso, come a “dare gas”.
Una volta percepite le vostre scapole, che come due lame si avvicinano, prendere aria dalla bocca portandola nello stomaco. Contemporaneamente è di fondamentale importanza deprimere le scapole, portandole verso il basso grazie all’azione gran dorsale. Inspirare e deprimere contemporaneamente è necessario in quanto il gran dorsale, muscolo respiratorio, riceve un potenziamento nella sua azione da questa combo.
FASE 3 – Eccentrica
Fate scendere il bilanciere immaginando che, mentre si avvicina al petto, il torace si alzi sempre di più e le scapole vadano sempre più verso il sedere. Questo dovrebbe permettervi di mantenere il costato più alto possibile e le spalle sotto al bilanciere. I gomiti, che sono un po’ la chiave per una discesa corretta, stanno sempre sotto al bilanciere.
Senza forzare nulla: se avete rispettato tutti i punti di cui sopra,ci finiranno da soli in maniera assolutamente naturale. La loro larghezza varia tra 45° e 60° rispetto alle coste, ed anche qui il “quanto aprirlo” dipenderà dalla soggettività anatomica e funzionale del singolo soggetto.
Chi si inarca ed “apre” poco si troverà meglio con i gomiti tucked (stretti), sfruttando soprattutto tricipiti e spalle, mentre chi “si apre” molto cercherà il petto, avendo un angolo di lavoro molto più vantaggioso.
Per quanto mi riguarda, la prima soluzione dovrebbe sempre rappresentare una transizione temporanea verso la seconda. Evitate, soprattutto negli ultimi cm di discesa, di perdere tensione, finendo in pancia o in gola, anche di poco. La linea di discesa deve essere retta e qualunque oscillazione in avanti o indietro potrà essere fatale con carichi elevati.
Attenti anche alle asimmetrie, con conseguenti rotazioni. Non avete idea di quanto siano penalizzanti!
Se non avete un coach a disposizione filmatevi e siate implacabili con voi stessi in merito.
Un’eccezione – rara ma possibile – a tutto il discorso, può essere data da atleti particolarmente pesanti e con casse toraciche molto sviluppate.
Su di loro, alle volte, puntare tutto sull’aprire il petto verso l’alto in eccentrica può dare feedback negativi. Questo semplicemente perché molti di questi soggetti, pur restando in apparenza piatti a causa della loro conformazione molto spessa, hanno già un settaggio ottimale, e provare ad alzare il petto ancora di più nella parte bassa del movimento non farà altro che allungare eccessivamente la muscolatura, perdendo così tensione nel momento più importante.
FASE 4 – Concentrica
Dopo l’arrivo del bilanciere al petto, non dovete spingerlo via frettolosamente da voi, ma piuttosto dovete immaginare di essere voi ad allontanarvi da lui, sprofondando nella panca.
Prima, in basso, sfruttando l’effetto elastico-dinamico dei pettorali, e poi, superando lo sticking point a 10 cm dal petto, infilandovi sotto con i gomiti come in una sorta di stoccata. Il torace deve restare alto più che mai, ad ogni costo.
Detto così può sembrare semplice, ma credetemi, non lo è affatto.
L’errore più comune in questa fase è quello di anteriorizzare le spalle: un riflesso di protezione che toglie totalmente lavoro al petto,passandolo quasi in toto a queste ultime,con conseguenze dannosissime per l’articolazione stessa, già di per sé molto fragile.
La tipica panca da “palestra”, purtroppo.
Bilanciere che arriva al petto,non si muove,i gomiti si allargano portandolo verso la gola ed il malcapitato chiude il movimento tutto storto con le spalle che per poco non arrivano al soffito. Dolore alle spalle,petto che non cresce e pacca sul groppone di quello “grosso”, con annesso consiglio di passare ai manubri “perché la panca non serve e anche io mi sono fatto male”.
In realtà, basterebbe fare tutto quello che ho descritto sopra,per evitare questo triste epilogo, comune a tanti italici panchisti. Un dorsale attivo impedisce alla spalla di scomporsi sia frontalmente sia verso l’alto.
In certi casi può essere utile dare all’atleta l’input di spingere il bilanciere contro i piedi, non cercando di enfatizzare chissà quale leg drive, così da evitare che i gomiti si aprano troppo verso l’esterno, finendo per mandarvi fuori spinta e procurandovi una bella spremuta fresca a carico dei vostri preziosi sovraspinati.
Importante espirare, sempre a proposito di timing, solo un attimo prima di mettere i gomiti in lock out, quando siete ad un passo dal chiudere l’alzata, e non in maniera troppo netta.
Questo per evitare di indebolire la tenuta del torace, tanto importante in discesa quanto in spinta.
Nella SECONDA PARTE andiamo a vedere,con tanto di immagini e livelli di difficoltà,alcuni esercizi, sia di mobilità che con il bilanciere, utilissimi a farvi progredire, nei limiti delle vostre potenzialità, dall’essere dei panchisti “piatti” ad “aperti”.
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“superando lo sticking point a 10 cm dal petto, infilandovi sotto con i gomiti come in una sorta di stoccata”.
Non ho capito
Detto bruscamente e per semplificare,lo sticking point è il momento più duro e a rischio di fallimento di un’alzata.
Nella panca di norma si verifica in concentrica a circa 10 cm dallo sterno,quando il pettorale inizia a perdere capacità contrattile a favore del tricipite,che è decisamente l’anello debole della catena.
A questo punto torna decisamente utile,anche attraverso una lieve extrarotazione dell’omero,far andare il gomito più possibile sotto e in alto,rispetto al bilanciere.
Questo passaggio agevolerà il superamento del punto critico mettendo il tricipite,a causa del rom ridotto che andrà a crearsi,in condizione di estendere con più facilità l’avambraccio,permettendo così di chiudere l’alzata.
Praticamente si sfrutta la capacità cinetica del pettorale per facilitare il lavoro del tricipite.
L’effetto ottico dall’esterno e pratico per l’atleta,sarà appunto quello di una “stoccata” da parte delle braccia verso e contro il bilanciere.
Lo sticking point è dato anche dalla lunghezza della leva della resistenza, che guarda caso a 90° di flessione dell’omero raggiunge la sua massima lunghezza e quindi svantaggio meccanico. Il segreto sta anche nello spingere forte durante il tratto di accelerazione
Flessione del gomito cmq 🙂
È corretto, nella fase di posizionamento sulla panca, staccare i piedi da terra e portare le gambe alte come ad eseguire una sorta di crunch basso con gli addominali tenendo la posizione?
Io ho sempre pensato che non avendo basi di appoggio a terra dove scaricare il peso, lavorasse più intensamente il pettorale.
È corretto?
Alzare le gambe come ad eseguire una sorta di crunch inverso serve solo a rendere l’alzata più difficile,a causa dell’instabilità complessiva che ne consegue.
Può avere un “senso”,con molte riserve,come variante su atleti molto avanzati e ben settati,ma nulla ha a che vedere con il massimizzare il lavoro muscolare del pettorale.
Anzi a tal proposito,stare con le gambe alte ed il bacino retroverso,specie su soggetti non esperti,renderà di difficile attuazione gran parte dei passaggi descritti nell’articolo.
Con la spiacevole conseguenza per cui il pettorale finirà per lavorare molto meno.
All’inizio dell’articolo hai scritto che non parlerai della panca da bodybuilder ma di quella che riguarda i powerlifter. Tra la prima e la seconda ci sono molte differenze? Se si quali?
Io riesco a mettermi in posizione abbastanza bene ma proprio come hai scritto anteriorizzo le spalle nella fase concentrica.Cosa posso fare per evitare questo errore?
Devi iniziare a cambiare l’idea di spinta. Quando esci dal petto non cercare l’accelerazione immediata, spingi lento e poi accelera pensando in prima istanza di alzare il petto mentre spingi, cosa antiintuitiva però molto efficace.
Alzare le gambe durante il lavoro alla panca piana aiuta ad impedire che sia il bacino a garantire la stabilità e l’ancoraggio al pianale. Questo elimina lo spreco energetico necessario per tenere stabile la zona pelvica e gli arti inferiori. Personalmente, lo trovo molto utile