di Leonardo Palmieri
Strenght trainer e diplomato AIF
Coach presso Perugia Barbarians Powerlifting
Proprietario ASD Spoleto Powerlifting

 

Credo che uno dei grossi problemi nel powerlifting sia quello di incrementare kg in un alzata in cui non si è portati. Cioè, facendo un esempio banale: un atleta che ha buone leve per la panca piana troverà difficoltà, arrivato in un dato momento della sua carriera, ad incrementare kg nello stacco da terra. In pratica si vivono i due opposti per chi non ha leve favorevoli.

 

Un ottimo panchista non sarà mai un ottimo stacchista e viceversa.

 

Ora, il punto centrale dell’articolo è proprio questo:

 

Come far fare buoni/ottimi kg di stacco ad uno che non ha leve per farlo?

 

 

Ecco lo stacco di Vittorio Simonelli, esempio pratico riguardante questo articolo.

 

Secondo la mia esperienza da allenatore esistono due modi di interpretare lo stacco da terra per questa tipologia di persone.

 

PRIMO METODO

 

Il primo è il più accademico, quello che solitamente si vede usare più spesso.

Solitamente l’atleta che usa questa idea di stacco si piazza con la tibia attaccata al bilanciere.

Da questa posizione scende con un’impostazione molto verticale del busto fino ad arrivare al bilanciere. Si avrà una situazione in cui la leva non favorevole (molto spesso il braccio corto) permetterà di afferrare il bilanciere solo stando molto molto appoggiati al terreno, ergo, col culo molto basso. Questa posizione permette di usare moltissimo la gamba ma poco la muscolatura della schiena, che sarà a fine corsa e relativamente scoperta ad eventuali compensi.

Solitamente, a carichi limite, si assiste alla classica sculata che tende a proiettare il bilanciere avanti e il baricentro dell’atleta dietro. Si viene quindi a creare una situazione molto sfavorevole in cui, o l’atleta ha un margine enorme sull’alzata o inevitabilmente si portano a casa 3 luci rosse.

 

TIPICA SOLUZIONE COMPENSATORIA

 

Volendo analizzare ulteriormente la dinamica, si nota anche come in questa tipologia di approccio venga molto spesso utilizzato un incastro dall’alto, in quelle situazioni in cui l’atleta è costretto, per motivi legati alla sua struttura ad afferrare il bilanciere e trazionarsi verso il basso con quest’ultimo usandolo come un perno. Questo caricamento permetterà all’atleta di creare un feeling più immediato con l’alzata, evitando di accucciarsi troppo e forzare posizioni scomode.

In pratica uso il bilanciere per raggiungere la posizione ideale di incastro per poi spingere. A mio avviso questa interpretazione ha degli svantaggi:

  1. Fretta: incastrando da una posizione in cui non si è ben appoggiati e soprattutto se non si hanno le leve per poterlo essere comodamente, questo approccio risulta molto frettoloso e a carichi alti questa fretta la si paga.
  2. Scarsa ripetibilità: sviluppare un idea solida e uno schema motorio ideale in questo modo a mio avviso risulta complesso. Ci si trova davanti ad una specializzazione forzata in cui, o l’atleta sviluppa la sua idea in maniera solida oppure, si assiste ad uno stacco che ha poca costanza di movimento.
  3. Timing sbagliato: molto spesso si assiste ad un timing sbagliato che proietta per i motivi detti in precedenza l’atleta in tirata. Si assiste perciò ad un cambio di forma, da quella che potrebbe essere definita come un alzata in cui si spinge si assiste alla situazione rovescia; l’atleta tira.

 

SECONDO METODO

 

Ora vediamo la seconda opzione, quella che personalmente cerco di insegnare a chi non è predisposto all’alzata e che, secondo il mio punto di vista, risulta più efficace.

Tutto ruota intorno alla creazione mediante accentuazione della cifosi dorsale, di una leva favorevole.

In pratica, se riesco a stare chiuso sulla parte alta (SOLO SU QUELLA) permetto al braccio di abbassarsi e al baricentro (la pancia) di restare vicino al bilanciere. Vero, ci sono stati tantissimi studi riguardo alla pericolosità dello stacco con la schiena curva.

 

Il punto è che molto spesso si generalizza non sapendo di cosa si sta parlando.

 

Rischi alla colonna emergono se la variazione delle curve fisiologiche cambia rapidamente in corso d’opera e se non è uniforme, in pratica allontanare la pancia e chiudersi nello sticking point dell’alzata cercando forzatamente di chiuderla è più rischio che partire direttamente con una leva che ci fa apparire cifotici. Bisogna anche analizzare un punto che ritengo fondamentale:

in questo modo di staccare il focus sulla pancia risulta sempre lo stesso.

 

 

Devo restare aperto. In pratica dovrò, dal posizionamento prima della partenza, attivare il femorale creando una base di appoggio muscolare. La pancia è aperta e tutto il piede schiaccia a terra in maniera uniforme. Nel momento in cui spingo, la mia concentrazione sarà quella di mandare la gobba verso l’alto spingendo con le gambe.

Alla fine della fiera si è creato un movimento che non necessita di un incastro dall’alto, che espone l’atleta alla fretta del gesto, ma una fase in cui anche chi non è propriamente portato può avere la lucidità per esserlo.

 

POSSIBILI VARIANTI UTILI

 

Per introdurre questo concetto esistono delle varianti che ho notato essere particolarmente efficaci a sviluppare un’idea efficiente.

 

Personalmente la variante che maggiormente utilizzo sono due.

 

La salita lenta

 

Dare una velocità preimpostata al movimento utilizzando ovviamente i giusti carichi, permette all’atleta di percepire l’allungamento della spalla verso il basso e quindi la parte alta della schiena che ‘’cede’’ al peso del bilanciere.

 

Fermo appena il bilanciere si stacca da terra

 

Unire questa variante alla precedente, in una seconda seduta o contemporaneamente nella stessa ci fa porre l’attenzione sulla pancia che, costantemente, deve puntare il bilanciere e mai allontanarsi.

La linea di spinta deve essere coerente e mai spostarsi dietro.

 

 

Resta solo capire quanto questa ‘’chiusura’’ e a che gradi possa risultare limitante. Il punto focale per me è creare un equilibrio che non per forza debba rispettare i canoni estetici dello stacco perfetto. Ma deve fungere da linea guida per l’atleta e l’allenatore onde evitare di estremizzare troppo il concetto che, nella mentalità comune è abbastanza al limite di suo.