a cura della Direzione Tecnica dell’AIF

RECENSIONE E ANALISI DEGLI STUDI DEGLI SCIENZIATI DELLA GERMANIA DELL’EST

Fino alla sua esistenza, cioè dal 1949 fino alla notte del 9 novembre del 1989 quando, per un insieme di eventi geopolitici ed un errore di lettura di un comunicato stampa dell’anacronistico politeburo comunista, il famigerato muro di Berlino venne abbattuto, la Germania dell’Est si distinse sul piano sportivo in particolare nell’atletica dei lanci.

Pur lasciando molti sospetti sulla condotta etica, cioè sull’abuso della sostanze illegali (per altro diffuse anche altrove in quegli anni) non è dubitabile che la scienza e lo studio dell’allenamento della forza per favorire la performance sportiva abbia raggiunto livelli eccelsi. Tant’è che tutt’ora tecnici della Ex Germania Orientale sono sparsi per le nazionali d’atletica del mondo a diffondere il sapere e gli studi di quell’epoca. Tutt’ora, malgrado non più in uso, il metodo della DDR condiziona i modelli di allenamento occidentali. Anzi, malgrado sia stato il sistema meno noto, rispetto al bulgaro e al sistema sovietico, quello della Repubblica Democratica Tedesca è il modello che forse più ha influenzato autori commerciali come King e Poliquin ributtando certi concetti nel mondo del fitness. Il massiccio uso delle Powerlifts a sfavore delle alzate olimpiche ed un modello di sovraccarico molto tirato lo rendono un modello decisamente pragmatico (nella sua apprente follia) e di difficile decodificazione.

George Dunn on the DDR system:
You can debunk the German system all you want but I can tell that in the eighty’s the American system was nothing more than what the throwers were able to get out of muscle head magazines. As Crystal Ken says, the German system does not exist anymore, nor the USSR, but what information we were able to get out of them slowly turned our training system into a “science” rather than trying to see who was the strongest man in the USA. I can remember quite well, the USA did not know what a plymetrics were, when we found out about them it was ten years after the fact.

Il materiale di questa recensione viene dallo studio attento dell’opera di  Hartmann e Tunnemann ‘Modern Kraftraining’  dalla lettura di interventi del tecnico Ekkart Arbeit, e da diverse conversazioni private fatte dal vivo o via internet con protagonisti più o meno importanti dell’epoca.

Nella scienza dei sovraccarichi nulla si inventa:  gli scienziati che hanno prodotto i più potenti lanciatori del mondo, hanno dato a risultanze simili nella teoria,  una chiave di lettura, una visione che come vedremo pone  una luce paradossalmente nuova ed interessantissima allo studio della forza.

Partiamo dalle FT (fibre veloci, diamo per scontato che abbiate una conoscenza di massima della suddivisione delle fibre) e dal loro ruolo centrale nell’allenamento coi sovraccarichi per la performance.

Si sostiene come le azioni veloci, non per forza siano a carico delle FT: la determinante è il carico ed il grado di accelerazione di questo.  In pratica movimenti veloci in cui il carico non è sufficiente non sono a predominanza d’attivazione delle FT. Di contro,  durante una contrazione di tipo puramente isometrico ( per semplificare, senza movimento, a velocità zero) sono le fibre veloci ad avere la parte predominante.

Ogni MU (unità motoria) cioè l’insieme di fibre controllate dallo stesso nervo motorio, sempre della stessa natura, ha una specifica soglia di attivazione. Questa, appunto, dipende dal carico. Le MU si contraggono in risposta ad impulsi nervosi, i quali hanno una determinata frequenza. Una contrazione più potente richiede una frequenza elevatissima di impulsi nervosi.

Una MU allenata ai carichi elevati si accorcia più velocemente e regge impulsi più frequenti generando maggiore tensione.  Il processo di reclutamento è, come ben sappiamo, la chiave della produzione di forza.

La frequenza degli impulsi si interseca con la capacità di coordinare le MU siultaneamente ed alla capacità di coordinare i diversi distretti muscolari. Entrambe le qualità hanno molto a che fare con la tecnica, in particolare la seconda, cioè la coordinazione intermuscolare. Quindi il carico, non tanto in termini di peso assoluto quanto di carico ‘a carico’ delle strutture muscolari, in punto della questione.

LA FORZA RESISTENTE

Interessantissimo notare come negli sport di endurance le MU si attivano in maniera alternata per massimizzare la possibilità di durata. In soldoni quando alcune sono attive le altre si riposano. Questo è possibile sempre perché è il carico (basso nelle attività di endurance) a determinare la necessità di alto reclutamento.  A questo punto torna molto strana la moda (perché di moda si tratta) di allenare la forza nei FIGHTERS con l’uso smodato di circuiti e lavoro di forza resistente, in pratica: allenare la forza fino a spomparli. Beh, vedete bene come l’effetto risultante sarà quello opposto: un peggioramento del reclutamento delle MU, quindi un peggioramento della capacità di imprimere FORZA contro l’avversario. Non ci stancheremo mai di sottolineare come il nostro punto sia: allenamento della forza di tipo aspecifico e della resistenza di tipo specifico. La resistenza sul campo, la forza per massimizzare il reclutamento e non tramite strani esercizi che dovrebbero mimare il gesto di gara: sono mezzi controproducenti. Ad esempio proprio studi sui lanciatori hanno mostrato come utilizzare troppo spesso attrezzi appesantiti stonasse il timing dei lanci, con l’effetto di peggiorare la prestazione finale.

Malgrado il nostro sia una approccio assolutamente innovativo, la scienza ci da ampiamente ragione.

Sempre a questo proposito possiamo notare come la relazione tra Forza massimale e Forza resistente sia  sempre legata al carico. Più la resistenza richiede carico elevato più la relazione è diretta. Nel lancio del peso questa relazione è più diretta che nel Ping Pong. In relazione a questo possiamo farvi notare come all’ultima gara di resistenza su Panca piana (cioè eseguire più ripetizioni possibili con un carico pari al proprio peso corporeo) fatta in Italia (per quanto valore relativo abbino questi eventi da sagra paesana) abbiano vinto tre nostri atleti FIPL, tutti allenati col metodo distribuito a fare raramente più di 3 ripetizioni. Semplicemente perché quando il tempo sotto carico non è elevatissimo non serve allenare tanto quella che i manuali standardizzano come forza resiste: cioè lavorare con carichi che permettano fino a 30 ripetizioni. Con ogni probabilità un campione di Girye perderà in una gara di resistenza su panca piana usando il peso corporeo come carico da un campione di powerlifting. Perché la Forza massiamle è troppo importante. Se invece dell’equivalente del peso corporeo si utilizzasse ad esempio il 50% del peso corporeo il risultato si sposterebbe a favore dell’alteta di resistenza. Queste analisi possono essere fatte in maniera molto approfondita senza lasciare nulla al caso, come, ahinoi viene fatto adesso. Esistono cifre e dati ben precisi sul come valutare il quando e il come spostarsi su un lavoro più o meno metabolico.

Fortunatamente tra i docenti dell’Accademia abbiamo personalità di grandissima competenza riguardo all’allenamento della forza metabolica, la comprensione del quale, crediamo sia determinante nella raggiunta competenza tecnica di uno valido strength trainer.

Insomma se il vostro obiettivo è fare qualcosa come 30 ripetizioni con un dato carico dovete diventare più forti.

PROCESSI DI RECUPERO

Come ben noto, ATP CP e Glicogeno sono ‘consumati’ durante sforzi muscloari in diversa maniera a seconda di sforzi di differente natura.

Durante il recupero il glicogeno si risintetizza nei muscoli e nel fegato, mentre il lattato (prodotto di scarto dal consumo del glicogeno) è trasformato per fare energia.

Questa operazione costa, cioè ha un costo sistemico per il corpo. La produzione di quantitàeccessive di lattato chiedono irrimediabilmente al corpo di lavorare di più, dedicando le proprie capacità di recupero ad altro.  Occhio allora quando pompate, quando vi spaccate in due pensando di aver vinto la battaglia: magari la state perdendo. Questa costatazione sembra dirci come l’eccessivo lavoro lattacido non porti a molto di buono.  Scoperte e studi molto più recenti delle opere che stiamo analizzando confermano sempre con più forza questa tesi.

Il recupero è suddiviso in due fasi:

I. Il primo stadio, immediatamente dopo lo sforzo, che avviene dai primissimi minuti fino alle sei ore: sistema cardiovascolare e e sistema neuromuscolare tornano ad un livello normale. I liquidi e i fosfati vengono ridistribuiti e ricostruiti

II. Nel secondo stadio, dalle sei ore successive sino a parecchi giorni: le risorse energetiche consumate sono ripristinate e le strutture contrattili e i tessuti connettivi rigenerati.

In una ricerca originariamente sovietica presentata da Neumann si mostra come i tempi di recupero siano differenti per struttura muscolare e allo stesso tempo siano sorprendentemente veloci negli atleti allenati. Allenando gli estensori del braccio i ricercatori trovano il recupero completo dopo 20 ore, mentre per la stessa intensità è registrato un recupero completo dopo poco più di 30 ore per gli estensori dell’anca.

Secondo la scuola della Germania dell’Est il completo recupero muscolare avviene tra le 24 e le 48 ore. Contrariamente alla scuola sovietica i tecnici della Repubblica Democatica Tedesca consigliavano di allenare grandi distretti muscolari a giorni alterni. In pratica si consiglia per un lanciatore (ad esempio) di allenare i giorni pari panca piana e addominali (con relativi antagonisti) e i giorni dispari squat e lavoro per i polpacci, sempre con reltavi antagonisti.

Teniamo presente che la scuola della DDR consiglia come sia il numero di ripetizioni a determinare il carico, per questo le serie sono spinte fino al limite possibile.

Come considerazione di massima non possiamo non notare come malgrado venisse lasciato (ragionando in base alle loro ricerche) tempo sufficiente al muscolo per recuperare, il sistema fosse costantemente sotto stimolo. I sovietici consigliano invece di non portare i sets al limite delle proprie possibilità, come avveniva nella ex DDR. Allo stesso tempo, questo però permette di allenare il sistema anche in uno stato di recupero incompleto. Ricordiamoci sempre che non stiamo parlando di appassionati di forza, di amatori o di atleti di buon livello: qui parliamo di esseri umani speciali, persone con facoltà fisiche incredibili: primi tra milioni, prediletti. Nati per essere i migliori. Giovanissimi, dotati di tempo e mezzi per massimizzare le proprie capacità (già mostruose) di recupero. Chi ha allenato agonisti sa che il talento fa una differenza enorme.

I processi di recupero, cioè a livello chimico il ripristino di talune sostanze e la ricostruzione a livello meccanico è MASSIMO NEI PRIMISSIMI MOMENTI DI RIPOSO DOPO L’ESERCIZIO INTENSO.  Da questo gli studiosi della Repubblica Democratica Tedesca ne derivano una conclusione che ci pare molto sensata e rispecchia esattamente quello che nella pratica abbiamo notato. Prendete nota perché spesso avrete sentito il contrario:

Essendo i processi di recupero massimizzati nei primi momenti di pausa dallo sforzo intenso e in drastico calo con il prolungarsi del periodo di detraining , non allenamento, riposo, risulta che un numero elevato di brevi periodi di riposo sia più effettivo che lunghe pause.

Che dire? Il metodo distribuito. Eccolo qua. Le medaglie mondiali e olimpiche nel powerliting e weightlifting non hanno dubbio della bontà di queste affermazioni.

In aggiunta è notato come i processi di recupero siano più veloci se intervallati da allenamenti leggeri, recupero attivo e leggero allenamento tecnico. Tra cui una moderata attività aerobica anche per gli atleti di forza. Questo sempre in ottica di miglioramento delle funzionalità sistemiche. Anche di questo punto dovremmo tenere conto con attenzione.

ALLENARSI TANTO MIGLIORA IL RECUPERO

L’allenamento in sé migliora la capacità di recupero. Allenarsi poco per il timore di nonrecuperare è un assurdo in campo: per fare un esempio: il ripristino della creatina fosfato nell’individuo non allenato chiede dai 3 ai 5 minuti, mentre nel soggetto allenato da 1 a 2 minuti. Insomma, meno ci si allena meno si recupera, meno si hanno risultati, meno si progredisce. Non si sfugge da questa verità. Mentre per anni, la quasi totalità dei soggetti che hanno parlato di sovraccarichi (in Italia si intende) non abbiano avuto il coraggio di prendere le distanze dalle mode del momento molto votate verso allenamenti dai volumi insufficienti. Al di là dei fautori dei metodi infrequenti, che rispettiamo in quanto hanno portato una ventata di novità nel mondo dei pesi, ci stupiamo di quelli che (anche se teoricamente molto preparati) non hanno saputo rispondere in maniera razionalizzata a queste logiche sposandole per partito preso, perché una decina di anni fa, tutti facevano così.

SCIENZA DELLA MASSA MUSCOLARE

Partiamo dall’assunto che per gli scienziati della DDR pare che l’allenamento della forza e della massa magra fossero difficilmente suddivisibili. Non si nota tra le righe dei loro testi sacri una evidente distinzione tra lavoro neurale e metabolico. La cosa non ci stupisce, infatti.

Senza dubbio gli esempi pratici proposti possono apparire molto votati verso un lavoro di tipo metabolico, però occorre analizzare gli eventi per poterli comprendere pienamente. Non è sufficiente leggere un risultato per trarne le conclusioni. Occorre comprenderne il contesto storico e la situazione delle parti in causa.

La situazione: i testi analizzati sono per tecnici d’atleti d’elite.  Il momento storico, cioè un periodo in cui il doping (non solo nei paesi dell’est) era parte integrante dell’assunzione alimentare, di quella che noi chiameremmo integrazione sportiva. In questo contesto troviamo anche noi sensato il potersi spingere oltre nell’intensità percepita. Lo smaltimento del lattato, si diceva in precedenza,  ha un costo per il sistema metabolico, che è ovviamente più alto nell’atleta natural, con una dote genetica nella norma esponenzialmente più alto. Cost’oro erano come detto fenomeni selezionatissimi.

Entriamo nel vivo dell’analisi:

Sebbene sia ammesso come i meccanismi che promuovono l’ipertrofia rimangano per buona parte misteriosi o incerti, l’esperienza suggerisce che il primo stimolo parta da un disturbo nell’equilibrio tra il consumo e il ripristino di ATP. Una carenza di ATP è causata da stimoli di alta intensità nell’allenamento della forza e della potenza. Questa carenza ha diversi effetti nel metabolismo delle proteine. L’allenamento intenso ad altissimi carichi porta alla deplezione delle proteine endogene e dopo un training vigoroso il metabolismo delle proteine eccede considerevolmente la risintesi proteica il che crea un ‘disturbo nell’equilibrio’ del processo catabolico anabolico. Da qui una forte spinta alla risintesi fino alla ben nota supercompensazione, intesa come il miglioramento della performance all’avvenuto recupero.

In pratica: secondo la ‘ATP deficency theory ‘ le riserve di ATP CP devono essere consumate al meglio per ottenere la reale spinta anabolica. Per questo sforzi di tempo relativamente breve propongono la migliore spinta anabolica. Se il carico non è sufficiente, il quale possa permettere ripetizioni troppo elevate entra in gioco prepotentemente il processo glicolitico. In questo caso non vi è una acuta carenza dei ATP.

In soldoni secondo questa teoria, il carico ipertrofico ottimale non sta tra il 70 e 75% secondo cultura bodybuilding classica ma è spostata su carichi attorno all’85% del massimale. Insomma NON CARICHI DA POMPAGGIO ma carchi da strength training che attivino fibre ad alta soglia.

Il fatto curioso è che questi autori propongono per queste % di carico un numero massimo di ripetizioni davvero impossibile. Allora secondo questa scuola dall’80 all’85% sono possibili dalle 5 alle 12 ripetizioni. Secondo quello che è la nostra esperienza pratica unita alla teoria sovietica dei sovraccarichi non è sensato in quel range % fare cose diverse dall’1 alle 6 ripetizioni. Qui però entrano in gioco tempi di esecuzione e fasi preparatorie. Insomma, questo è il punto in cui occorre capire i contesti. Quanto può spingersi un atleta di quel tipo, con quelle possibilità e mezzi di recupero? Pure la grandezza degli esercizi e se i test siano stati fatti o meno in vitro o in vivo.

Di fatto ci resta una grande considerazione: anche per l’aumento ipertrofico lo stimolo, la massimizzazione della tensione deve essere IMPORTANTE. Nella pratica reale l’abbiano già notato come l’ipertrofia stessa risponda, in prima battuta all’adattamento ad uno stimolo e il carico è il primo stimolo.

Continua nella seconda parte in cui analizzeremo volumi, carichi e tecniche pratiche della metodologia della Germania dell’Est.

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