a cura del Dott. Federico Fontana

 

La crescita del passato proiettata per il futuro: ogni movimento umano è il risultato dell’armonia funzionale tra sistema nervoso centrale e la componente periferica dell’apparato motorio, il sistema muscolare.

Il prodotto di tale sintonia, la FORZA MUSCOLARE, permette all’uomo di muoversi nello spazio, ed è la modulazione della sua grandezza e della sua dimensione che governa la velocità e il carattere esplicito di tutti i suoi movimenti.

Analizzando la prestazione di qualsiasi sport si può trovare in tutti, dai mN necessari a premere il grilletto di una pistola nel tiro al bersaglio, alla forza da applicare per spostare una volta e mezza il proprio peso corporeo nello strappo, anche se con valenze diverse, il fattore “FORZA”.

Come tale quindi, rappresenta una componente dalla quale non può prescindere la preparazione fisica di qualsiasi atleta, dal principiante all’atleta di altissimo livello.

La forza e la sua modulazione svolgono un ruolo fondamentale in qualsiasi gesto motorio.

E’ il possesso di quest’ultima in maniera sufficiente, che fa la differenza.

Fin dalla notte dei tempi l’uomo ha sempre dovuto correre e lottare per garantire la sopravvivenza della propria specie; è però altrettanto vero che si è sempre compiaciuto della propria forza, esibendosi nelle prove più svariate e stravaganti fino a portare alla luce le prime vere forme di competizioni “sportive”.

L’idea dell’uomo grande e forte ha sempre suscitato rispetto e accettazione; basti pensare ai miti di Ercole, Golia, Ulisse e Davide, ove l’espressione di Forza era considerata un’indicazione di favore da parte degli Dei, a Milo di Crotone, famoso per i suoi innumerevoli successi sportivi ai giochi Olimpici, e per la più celebre impresa nel giro completo dello stadio di Olimpia portando sulle spalle un vitello.

Si pensi inoltre, in tempi più recenti, ai celebri fumetti di Braccio di Ferro, Hercules, Asterix e Obelix.

Il culto della Forza è nobile e antico e va riportato oggi alla luce.

La Forza rende possibili tutti i movimenti, che siano del pesista o del pianista. Si tratta sempre di una coerente sinfonia. Di una TECNICA esecutiva; la Forza E’ la Tecnica.

Il movimento è l’espressione quindi della capacità di forza muscolare, non c’è sport senza la forza, curare il corpo attraverso il movimento significa curare la forza.

L’allenamento della forza quindi, è sempre un particolare modello di comportamento.

Il cervello comanda un impegno via via sempre più grande; il muscolo esegue, prova: può riuscire o meno ma intanto si allena.

L’allenamento della forza diventa così un RITO.

Un rito che necessita di una guida, di un allenatore che oggi purtroppo va ri-preso per mano; perché ha smarrito la sua via perdendosi tra teoria e pratica di tutti i giorni; dove i due mondi non si parlano più.

Ad oggi, nonostante gli enormi progressi compiuti sulla conoscenza della struttura e della funzione del muscolo, si è ancora relativamente lontani dal comprendere a pieno quella che è la magia che ne caratterizza il funzionamento brutale, armonico, elegante, fluido ed efficace.

Una cosa però è certa, la ricerca scientifica in tale senso farà passi da gigante; talvolta però si trascura il fatto che in passato li ha già fatti, proprio nella direzione che interessa a noi, qui, adesso.

 

GLI ANNI 80…..LA DISCO MUSIC…

 

 

Carmelo Bosco, nel 1983, dal dipartimento di Biologia dell’attività fisica dell’Università di Jyväskylä, studia la relazione Forza-Velocità e l’influenza sulla prestazione.

Bosco vuole così rispondere a un’importante domanda:

“il miglioramento della forza sviluppata in un movimento a scarsa velocità di contrazione può contribuire al miglioramento di prestazioni come, ad esempio, la prestazione di salto, di lancio, di scatto, ecc… in cui è richiesta un rapida fornitura della massima forza possibile, mantenendola per il più a lungo possibile?”

Bosco aveva visto che l’allenamento con carichi pesanti e a bassa velocità di contrazione (il protocollo usato era un classico 3×10 o 4×8), aumentava la forza sviluppata a bassa velocità di contrazione e la prestazione di salto verticale veniva di poco influenzata, o addirittura sul lungo periodo (12 settimane) peggiorava.

Se gli studi di Bosco in tale direzione vengono messi in relazione con quelli di Komi e di Hakkinen (1982-1981), in cui è stato osservato come il miglioramento della Fmax, nel medesimo protocollo di Bosco, fu seguito da un aumento sia dell’area delle ST ( Slow twich, fibre “lente”) sia delle FT (Fast Twitch, “veloci”), si può formulare l’ipotesi su come l’allenamento di forza può influenzare la prestazione. (Appendice)

Considerando che la prestazione di salto verticale è correlata alla % di fibre veloci dei muscoli estensori della gamba e, aggiungerei io, alla capacità di reclutare tali fibre con il giusto TIMING, l’aumento dell’area delle fibre FT dovrebbe portare ad un aumento della potenza e quindi della prestazione nel salto in alto.

Questi autori hanno osservato che, all’inizio dell’allenamento (prime 4 settimane), un aumento della prestazione di salto era correlata ad un aumento del rapporto FT/ST. Tuttavia con il procedere dell’allenamento nelle settimane (fino a 12), l’area ST aumentava e la prestazione del salto DECRESCEVA.

Bosco e colleghi avevano quindi scoperto, TRENTA anni fa, che l’allenamento coi sovraccarichi per l’incremento della forza, eseguito senza la volontà di spostare un peso alla massima velocità possibile (uno schema in 3×10 non permette un ottimale reclutamento motorio, la ripetizione non diventa un EVENTO, bensì un “andare al risparmio”), aumentava la sezione trasversa delle fibre FT ma anche delle ST.

Cosi, tale aumento delle fibre lente e il loro reclutamento ripetitivo, che avviene a carichi sub-massimali ed eseguiti lentamente, hanno un influsso negativo sulla prestazione del salto in quanto, ad alte velocità di accorciamento, nelle fibre lente i ponti acto-miosinici nei filamenti muscolari non hanno il tempo necessario di distaccarsi per formare nuovi ponti,  quindi possono offrire una resistenza negativa ad un accorciamento troppo rapido.

Questi nel 1980, avevano capito che allenarsi lentamente con i classici schemi da palestra, per allenare la Forza, non porta risultati; rischiando di cascare nel conseguente “Sesquipedalia verba”. (tradotto “letteralmente”: sparare cazzate).

Quindi viene da domandarsi… come mai allora per gli ultimi 3 decenni in tutte le realtà sportive che usano i sovraccarichi come attività extra specifica si usa ancora questa metodologia?!

 

GLI ANNI 80….. L’ESD…

 

 

Qualche anno dopo, ma sempre di disco music si parla, Dietmar Schimdtbleicher dall’università di Friburgo, tramite una review, sottolinea come l’importanza della forza esplosiva diviene chiara se si tiene presente che la maggior parte delle attività motorie nelle discipline di forza hanno BREVE DURATA!

Un colpo di un pugile ad esempio dura 60ms, le fasi di appoggio di un salto in alto o in lungo durano tra 150 e 250ms.

Al contrario il tempo necessario a raggiungere la massima contrazione volontaria è di circa 400ms, e può arrivare a 800ms.

Era già quindi chiaro allora, sempre una valanga di anni fa, che per esercitare una grande forza è necessario esercitare un grande IMPULSO. La massima forza nel minor tempo possibile. E’ qui che va concentrato il lavoro, e Ado Gruzza ne spiega le basi in uno dei suoi recentissimi articoli usciti su AIF; da leggere!

Ancora, lo stesso Schimdtbleicher D., in un suo articolo del 1981 “changes in contractile properties of muscle after strength training in man”, studia longitudinalmente sessanta atleti maschi tra i 22 e i 25 anni di età.

Li divide in quattro gruppi omogenei comparabili. Tutti i gruppi svolgevano 4 allenamenti settimanali per 12 settimane praticando la panca piana.

  • Il gruppo A svolgeva un programma di allenamento a carichi elevati, nell’ordine del 90% del massimo carico sollevabile, e tra 4 e 1 ripetizione;
  • Il gruppo B si esercitava con 5 serie da 8 ripetizioni con un carico del 60%;

Questi due gruppi avevano il compito di eseguire le ripetizioni nel modo tecnicamente corretto e più ESPLOSIVO possibile.

  • Il gruppo C si allenava con 3 serie da 12 ripetizioni e con un carico del 70%.

Questo gruppo non aveva il compito di essere esplosivo;

  • Il quarto gruppo, D, era il controllo.

I risultati mostrarono CHIARAMENTE che un allenamento con carichi elevati e con minori ripetizioni, se seguito in modo esplosivo, porta ad un adattamento nervoso nell’attivazione delle unità motorie; cioè ad un più rapido sviluppo dell’attività elettrica durante una contrazione, che si traduceva in un tempo minore per generare Forza.

L’allenamento del gruppo B e del gruppo C non aveva mostrato alcun effetto sull’adattamento del SNC.

Citando una riga tradotta dell’articolo:

Da un punto di vista pratico, un allenamento contro resistenze elevate effettuato ricercando l’esplosività del gesto, porta ad effetti migliori per l’aumento della velocità del movimento rispetto ai metodi contro una bassa resistenza, come l’allenamento ad esaurimento”

E ancora:

“Per garantire un effetto REALE dell’allenamento della Forza, in tutti gli esercizi e in tutte le ripetizioni l’atleta deve puntare ad una velocità esecutiva minima, non inferiore ad un certo livello indicato dalla prestazione target, se non vuole abituare la muscolatura ad un tipo di contrazione lenta che diminuirebbe la prestazione e rischierebbe di modificare le caratteristiche neurofisiologiche muscolari”

Ecco l’ ESD! 30 “fottutissimi” anni fa!

Ed ecco sfatati 30 anni di preparazione coi sovraccarichi che rispecchiano troppo le mode del fitness e del body building per l’incremento di Forza.

La ricerca è la chiave per tornare al principio e capire la Fine.

“Non c’è niente di più pratico di una buona teoria”

Levin

 

APPENDICE

Classificazione della tipologia di fibra muscolare

I primi studi relativi alla diversa tipologia di fibre, si possono attribuire a Lorenzini nel 1678, che le classifico in “bianche” e “rosse”; pensando che questi ultimi fossero maggiormente ricchi di sangue rispetto ai primi.

Agli inizi del ‘800, l’intero muscolo fu classificato come veloce, “fast”, oppure lento, “slow”, in base alla sua velocità di accorciamento (Ranvier, 1873).

Questo tipo di conformazione corrispondeva anche a differenze morfologiche che vedevano, soprattutto in alcune specie di uccelli, i muscoli rapidi di colore chiaro e i muscoli lenti di colore scuro. La colorazione scura dei muscoli a contrazione lenta è, in effetti, dovuta sia al loro alto contenuto di mioglobina sia alla fitta capillarizzazione. Tali caratteristiche tipiche dei muscoli “lenti”, sta alla base del loro grande potenziale ossidativo.

Le prima analisi istologiche dimostrarono come esisteva una correlazione tra l’attività ATPasica della miosina (l’attività di idrolisi dell’ATP, e quindi della “velocità” del suo utilizzo) e la velocità di accorciamento del muscolo. Proprio grazie a questa differenziazione fu possibile formulare l’originaria suddivisione delle fibre muscolari in: Tipo I (slow twitch fibers, ST) e tipo II (fast twitch fibers, FT) (Barany, 1967).

Ad oggi la classificazione è arrivata a considerare 7 tipologie di fibra muscolare:

 

BIBLIOGRAFIA di APPROFONDIMENTO

  • Bosco C, Ito A, Komi PV. Neuromuscular function and mechanical efficiency of human. Acta Physio. Scand. 114: 543-550. 1982
  • Komi et al. Effect of heavy resistance and explosive type strength training methods on mechanical, and metabolic aspect of performance. Exercise and sport biology, 1982.
  • Schmidtbleicher D, et al. Changes in contractile properties of muscle after strength training, Europ. Journ. Appl. Physio. 46:221-229, 1981.
  • Sherrington C. The integrative action of the nervous system, Yale university press, 1906.
  • Henneman E, et al. Excitability and inhibitability of motoneurons of different size, J. Of Neurophysiol. 28:560-580. 1965.
  • Barany M. ATPase activity of myosin correlated with speed of muscle shortening. J Gen Physiol. 50:197-218, 1967
  • McArdle WD, Katch F, Katch F. Essential of exercise physiology. 1994