a cura di Amerigo Brunetti

Amerigo Brunetti – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

“Bodybuilding is a trick” dice sempre un mio amico balinese, unico ad avere vinto il mondiale di Natural BB in due federazioni diverse.

Inganno, insomma. Trucchetti.

L’evoluzione che ha il muscolo durante il periodo di allenamento non riguarda solamente la sua dimensione, il suo metabolismo. Troppo spesso ci scordiamo che l’atleta preso in un determinato momento dell’anno può sembrare diverso alla vista di un osservatore rispetto al se stesso di un altro momento. Non è solo una questione di “tiraggio”, né prettamente di volume totale.

Il culturista perfetto ha muscoli stondati che sembrano esplodere come in una statua alla quale sia stato aggiunto del materiale dopo una prima bozza. Il non plus ultra è proprio il ventre muscolare dilatato; inserzioni piccole e pance disegnate col compasso. Ma… Come si ottiene ciò? È possibile lavorare per cambiare le caratteristiche muscolari donateci dalla genetica?

La risposta è SÌ.

Ci vogliono tempo e una strutturazione degli allenamenti programmata nel minimo dettaglio. A volte basta la genetica: molti bodybuilder di colore si sono ritrovati con rotondità da fare invidia a Giotto; il loro percorso è di facile gestione: non fare altro che assecondare ciò che madre natura ha gentilmente donato. Crescere, tirarsi: punto e basta. Se aggiungiamo che certe popolazioni sono meno inclini ad accusare lo stress fisico/mentale il gioco è fatto.

Il 90% degli utenti della sala pesi, invece, questa qualità se la deve andare a cercare, se vuole eccellere. Il pompaggio è sicuramente la chiave. Ciò che dona al muscolo la sua forma è la fascia profonda, strato connettivale che riveste singoli muscoli o gruppi di questi. E facile vedere che i “pompatori” per eccellenza hanno meno separazione muscolare di altri: giusto no? Grossi, enormi, ma è poco evidente dove finisce il deltoide anteriore e inizia il petto. La fascia, a forza di allenamenti ultra lattacidi e – troppo spesso – di oli iniettati, si è allargata, facilitando la crescita muscolare e la forma tonda. Un sacchetto largo però non definisce i contorni. Tutt’altra storia racconta il corpo di chi rifugge l’alto volume.
Wheeler vs Yates. Soft vs hard. Gomma contro roccia. Sì, parliamo di non-natural, ma l’esempio calza a pennello. E sono regole che valgono sempre. Il corpo dei bodybuilders ci racconta inequivocabilmente il loro allenamento.

Se l’atleta è pulito la ricerca di questo effetto di muscolo esplosivo è tanto difficile quanto la carta vincente. Effetto da tenere sotto controllo: se ci si concentra eccessivamente sull’accumulo di fluidi nel muscolo, la perdita di densità muscolare risulta deleteria. Basta guardare le gambe per i 3 giorni successivi all’allenamento: la loro condizione edematosa ci impedisce di vedere il confine tra retto femorale e vasto mediale.

Ok: iniziamo ad addentrarci nel “Cosa succede, come si fa”.

Pienezza muscolare significa tre cose: volume sarcoplasmatico esasperato, aumentato flusso sanguigno e accumulo di fluidi nell’interstizio, lo spazio ricco di collagene in cui sono inserite la fibre, che funge anche da collante tra la fibra vera e propria e il tendine. L’ipertrofia della miofibrilla paradossalmente conta poco nell’effetto visivo.

L’aumento del flusso sanguigno avviene principalmente in quattro circostanze, delle quali ci interessano le ultime tre: maggiore bisogno di ossigeno (attivazione dei meccanismi di respirazione aerobica), necessità di incremento della conversione di ADP in ATP (per fare questo serve nutrimento come il glucosio), produzione di scorie dovute alla contrazione muscolare che devono essere smaltite e direzionate ad organi o distretti differenti, riparazione dei danni strutturali post allenamento. Questo comporta sostanze nutritive in maggior quantità ma anche elevazione del metabolismo per la resintesi del glicogeno. L’aumento del flusso sanguigno è generalmente inteso come un effetto a breve termine. A fine allenamento sono “pieno come una zampogna”: mi sveglio al mattino e il pompaggio è solo un ricordo. A breve termine solo se lo stimolo non è cronico: perché, se noi ogni settimana “pompiamo” come dannati, il corpo si adatta anche a questa condizione costruendo nuovi vasi (vasculogenesi) e/o incrementando le dimensioni di altri (angiogenesi). La prima decisamente più trascurabile della seconda. Questo significa maggior volume sanguigno trattenuto nei capillari e quindi maggior volume anche a riposo. Ovvio che durante allenamento l’effetto sia esponenziale.

L’accumulo di fluidi nell’interstizio è influenzato dalle contrazioni ritmiche tipiche degli allenamenti ad alte reps, che provoca una aumentata pressione arteriosa forzando il plasma ad uscire dai capillari. A mio avviso c’è però un altro fattore che viene spesso trascurato. Più scorie sono presenti in questa zona (appena fuoriuscite dalla cellula in fase di contrazione che si libera degli scarti) maggiore sarà la forza osmotica che tratterrà H2O in questa “no man’s land”. L’interstizio difatti è spesso inteso come una semplice zona di passaggio tra cellula (fibra muscolare nel nostro caso) e sangue. In realtà è ricco di proteine, collagene e mediatori della sintesi proteica. È il regno degli ioni sodio. Inutile dire che una riduzione troppo drastica di questo importantissimo elettrolita – spesso “sotto gara” si vedono atleti che lo eliminano completamente dalla propria alimentazione – va a inficiare la pienezza, soprattutto dei gruppi muscolari che sono adatti ad essere stimolati con pompaggio, come deltoidi e braccia. Chi abusa di diuretici, oltre a rischiare la vita, ha pelle sottilissima ma spesso muscoli piatti.

Atleti naturali: sodio sempre alto. Già ci manca l’idratazione derivante dallo steroide esogeno, se priviamo il muscolo anche dei suoi elettroliti…Cosa rimane?!

Per chi gareggia può essere valida una piccola riduzione di Na sotto gara ma senza esagerare. Da reinserire tassativamente il giorno della gara.

Il sarcoplasma è la componente non contrattile della fibra, il citosol della cellula muscolare. Provvede al nutrimento delle miofibrille che vi sono immerse e attraverso esso navigano gli scarti della contrazione muscolare, diretti ad essere riassorbiti dal sistema vascolare. Di fronte a sforzi prolungati che necessitano della scissione del glicogeno muscolare il corpo si adatta creando un serbatoio energetico più grande, in modo da poter sostenere al meglio tale tipo di attività. Per questo l’incremento delle riserve di glicogeno e una maggiore presenza di mitocondri che producano energia durante sforzi fisici prolungati nel tempo sono gli adattamenti sul lungo periodo che si possono riscontare nel sarcoplasma. Nel breve termine, invece, a fare la differenza è la maggiore ritenzione di potassio insieme ad un grande accumulo di sottoprodotti del lavoro di contrazione; e qui si arriva al punto: ACIDO LATTICO.

Durante la glicolisi (scissione del glicogeno o direttamente del glucosio) si ha un guadagno netto di ioni fosfato e la produzione di questa “scoria naturale della contrazione muscolare”. All’interno della fibra è dissociato in ioni: LATTATO (La-) e idrogeno (H+). Si è sempre pensato che il lattato sia il diretto responsabile di un’aumentata acidità all’interno della fibra e, conseguentemente, dell’insorgere della fatica muscolare.  Certamente la somma di tutte le reazioni coinvolte nel meccanismo di contrazione miofibrillare porta ad una aumentata acidità: ma additare il lattato come causa di tutti i mali è errato; non è ancora esattamente chiaro quali siano i meccanismi che fanno interrompere la contrazione. Il solo abbassamento del Ph non causa fatica, il solo accumulo di lattato non causa fatica… Insomma: non è così facile come si pensa. Semplicemente, possiamo dire che quando il livello di acido lattico (e non lattato, poiché è dissociato come lattato e idrogeno solo DENTRO alla cellula), raggiunge livelli SANGUIGNI eccessivamente elevati si ha il raggiungimento della cosiddetta “lactate threshold”, forzando l’atleta alla cessazione dell’attività fisica.

Ciò che interessa qui è quello che accade dentro al muscolo, durante sforzi che non vedono un innalzamento drastico dell’acido lattico sanguigno ma un aumento vertiginoso della sua concentrazione nel singolo muscolo.

L’aumentata concentrazione di sostanze dissolte nella cellula provoca un effetto ben conosciuto: OSMOSI. L’acqua tende ad entrare nella cellula passando da una zona a minore concentrazione di soluto (fluidi extracellulari) ad una con concentrazione maggiore (interno della fibra) e questa si gonfia. Volete sapere come mai quando siete a metà allenamento vi vedete anche più tirati? Eccovi soddisfatti.

Ma come fa poi il lattato ad uscire attraverso la membrana cellulare e cosa accade se ciò non avviene entro poco tempo? Esso può lasciare la cellula unicamente attraverso un processo chiamato diffusione facilitata, ovvero legandosi con particolari proteine di trasporto nel sarcolemma. Quando esso viene prodotto in grandi quantità, la rimozione è lenta perché le proteine di trasporto sono “affogate” dal lattato e questo non può uscire alla stessa velocità con cui è stato prodotto. Ecco dunque che l’accumulo di questo ione causa l’ingresso di H2O dalla membrana. Una volta uscito dalla cellula l’acido lattico attraversa la matrice extracellulare (altra zona in cui attrarrà acqua) e viene smaltito attraverso il sistema venoso, che nel frattempo ha incrementato il volume ematico locale per favorire la rimozione degli scarti dell’attività muscolare. Il risultato di tutto ciò è un muscolo così pieno che sembra stia per scoppiare.

Maggiore è il tempo che il lattato trascorre nel muscolo, più a lungo si manterrà il pompaggio e quindi si avrà il perdurare di una pressione interna che forza la fascia ad espandersi. Sul singolo allenamento non ci sarà particolare riscontro ottico, ma dopo qualche mese i risultati saranno evidenti.

Facendo un resoconto finale di quanto scritto finora e cercando di tradurre in pratica questi concetti teorici, il punto essenziale è che per ottenere “stondature” e ventri muscolari da fuoriclasse è necessario allenarsi con serie e tempi sotto tensione prolungati. Attivazione della glicolisi (quindi produzione di acido lattico con conseguente effetto osmotico), aumento sul lungo periodo delle riserve di glicogeno, dilatazione della fascia, accrescimento e formazione di vasi sanguigni. Recuperi brevi e tecniche per aumentare lo shock muscolare sono essenziali. Una persona che a denti stretti potrei definire il mio primo “allenatore” sosteneva addirittura che non vi fosse necessità di riscaldamento con certi schemi ad alte ripetizioni. Tralasciando il fatto che le articolazioni non ne giovino affatto, non mi stupisco che il suo metodo funzionasse. Si tratta di “bastonare” il muscolo target da subito, quasi cogliendolo di sorpresa (passatemi il termine…). La reazione di pompaggio è spropositata, provare per credere.

Prendiamo ad esempio l’allenamento della schiena di Alfredo Tessitore, Vicecampione Italiano di Natural Bodybuilding nel 2013. La sua capacità di reclutamento è indiscutibilmente elevata. Per un lungo periodo ha prestato attenzione (per volontà o semplice intuizione) al carico ed al cedimento sulle basse ripetizioni piuttosto che alla totale congestione muscolare per lattato. Le capacità che ha acquisito durante i primi anni gli consentono oggi di trarre il massimo giovamento da un allenamento a TUT (Time Under Tension) elevatissimo e con poca componente di “forza, velocità, accelerazione”.

Ad oggi ritengo sia uno dei casi più lampanti di atleta alla ricerca del massimo allargamento miofasciale. Questo programma è stato seguito nel mese di Agosto (ultima gara a fine Giugno), sfruttando la maggiore risposta muscolare del periodo post competizione.

Alfredo TESSITORE – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

In questa fase al mero volume ho aggiunto alcune semplici tecniche volte ad aumentare il livello d’intensità. (Con intensità non si intende la percentuale di carico, piuttosto l’idea di stress metabolico subìto dal muscolo attraverso forzate, negative, ecc… Ndt)

Ogni ripetizione è stata curata: non ho mai amato il cheating ed ho sempre cercato di trattenere il carico il più possibile in fase eccentrica.

Ho cercato di tenere il volume abbastanza alto, con l’intenzione di far affluire quanto più sangue possibile nei muscoli interessati, anche se questo non è stato lo scopo primario: l’obbiettivo principale è stato tenere il tempo di tensione totale – e nella serie – quanto più lungo possibile e nettamente superiore al tempo di riposo.

I recuperi corti sono serviti a questo; in un’ora di workout ho avuto 40 minuti di tensione e 20 di riposo.

Ho quindi lavorato in primis sulla tensione reiterata per un numero consistente di ripetizioni, senza ricorrere a carichi esagerati ma sfruttando le leve in maniera spesso più sfavorevole rispetto alla tradizionale esecuzione. Quindi carico “giusto” e mai troppo basso, volto al mero pumping, rom e TUT esasperati… Tensione nelle fibre lunga ed intensa! Questo ha portato anche ad una “vera” ipertrofia del muscolo. La risposta positiva al pump è stata anche data da un maggior afflusso di sangue durante ogni allenamento.

L’obbiettivo primario non è stato quindi la ricerca di una mera sensazione di “pienezza” del muscolo, quanto piuttosto cercare di generare tensioni medio-alte prolungate per tempi lunghissimi: un vero assalto alle fibre, uno shock!

Alfredo TESSITORE – Foto per gentile concessione dell’autore: tutti i diritti riservati

 

TABELLA ALLENAMENTO MUSCOLI DORSALI

 

Lat Machine al petto presa prona larga (serie x ripetizioni): 4×12, 1×8 – Rest: 45’’-1’. Carico costante ed ultima serie con incremento del carico di circa il 30% .

Rematori manubri prono su panca a 30° (serie x ripetizioni): 5 x drop set – Rest: 45’’. Eseguo un rematore poco “estetico” o corretto dal punto di vista dei canonici metodi: il mio unico obbiettivo è quello di disegnare con il gomito un arco di circonferenza che termini all’altezza del torace.

T-bar “banded” (serie x ripetizioni): 5 x (8+drop max). Rest: 1’.  Tecnica “banded”: allaccio la banda nella parte più interna della barra, in modo da poter scalare il carico continuando ad avere la resistenza elastica anche nelle ripetizioni successive, nelle quali enfatizzo maggiormente la contrazione di picco e la fase eccentrica.

Row machine freeweight “banded”: il carico è calibrato per permettere 12 ripetizioni. L’esercizio si esegue a braccio singolo, alternandoli senza pause ed andando avanti fin quando non sarà possibile effettuare correttamente più di 5 ripetizioni.

Pullover al cavo basso: set unico ad esaurimento. Preferisco questa versione al classico pullover poiché la tensione continua data dal cavo elimina quei punti morti che in questo esercizio capitano proprio in corrispondenza della massima contrazione muscolare.

Allenamenti settimanali per muscolo (accaniti sostenitori della multifrequenza, reggetevi alla sedia!): 1 a settimana.

Durata media allenamento: 45’, massimo 60’.

Alfredo Tessitore

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Quante volte è capitato di vedere atleti naturali perdere le forme muscolari “da gara” immediatamente dopo la competizione? Le rotondità spariscono. Fossero atleti marginali non ci sarebbe da farsi questa domanda: spesso però si parla di atleti che vincono e che privilegiano il pompaggio solamente in fase pre-contest, che siano 3, 4, 6 mesi poco importa; nel resto dell’anno si dedicano più ad altre modalità di lavoro. Chi si “butta” sulla “forza”, allungando i tempi di recupero; chi semplicemente se la prende “più comoda” per dare riposo al corpo dagli stress allenanti. Off season privilegiano la componente contrattile, sotto gara quella più “volatile”: che però fa “scalare” la classifica.

Quindi: multifrequenza, volume, forza, pompaggio, cedimento, buffer; va bene tutto e niente…

Oppure ci sono delle regole?

Per eccellere nel Bodybuilding Naturale è necessario studiare una programmazione sensata che assecondi le peculiarità del singolo atleta.

Quello di Alfredo è un esempio: UN esempio; anche se tutti i campioni Naturali hanno tratti comuni.

Controluce un filo lega inevitabilmente chi ha grandi risultati.

Invisibile se ci si perde nel dettaglio: chiarissimo se si guarda il quadro generale.

 

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti – Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.